C’è una città che, tra tutte quelle che andranno alle urne per scegliere il nuovo presidente della Regione, è più sotto osservazione delle altre, e il suo nome è Bologna. Anche se, questa volta, non ci sono state Sardine che hanno riempito a sorpresa piazza Maggiore e anche se non ci sono state scampanellate al grido di ‘Scusi, lei spaccia?’. Certo, è bastato un sabato di delirio tra ’patrioti‘ e antagonisti a riportare la città al centro del dibattito politico e della campagna elettorale, ma il peso che Bologna avrà in questo voto – e allo stesso tempo il peso che questo voto avrà per Bologna – va ben oltre le ultime schermaglie della campagna elettorale.L’esito e le conseguenze della scelta per il dopo-Bonaccini si intrecciano, sotto le Due Torri, in un orizzonte che guarda già al 2026, ovvero a quando si tornerà alle urne per scegliere l’inquilino di Palazzo d’Accursio. Lo sanno bene entrambi gli schieramenti, che aspettano con grande interesse il voto della nostra area metropolitana e, soprattutto, quello del Comune capoluogo. Per capire se qualcosa è cambiato negli equilibri apparentemente blindatissimi che avevano portato Matteo Lepore a Palazzo d’Accursio tre anni fa: non solo quelli tra i due schieramenti, ma anche quelli dentro il centrosinistra e, in particolare, all’interno del Pd. E, poi, per comprendere il peso politico dell’alluvione dello scorso 19 ottobre, il cui primo indicatore potrebbe essere costituito già dall’affluenza alle urne. Più bassa sarà, più probabilmente significherà che a vincere è stata la disaffezione verso la politica, piuttosto che uno...
Per Bologna non è un voto qualsiasi
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