E' accaduto quello che accade sempre. Alla vigilia del voto il tema affluenza era in cima ai pensieri di tutti, il giorno dopo non interessava più nessuno. Ed è un errore, perché quello che è suonato (di nuovo) in Emilia-Romagna non è un campanello d'allarme, è una sirena da spaccare i timpani. Gli astenuti sono stati quasi due milioni, il 53,6% dell'elettorato. Questo nonostante si votasse per due giorni, inutile palliativo all'italiana (solo in Russia i seggi stanno aperti tre giorni, ma lì ci sono 9 fusi orari...). Facciamo due conti: il Pd ha stravinto, 42,94%. Alle Europee di giugno aveva preso il 36,11. Allegria, dunque, canti e balli nelle piazze. Poi vai a spulciare i numeri e scopri che, rispetto al 9 giugno, il Pd ha comunque perso per strada circa 17mila voti. E facendo il confronto con le Regionali del 2020, i voti persi sono 94mila. Molto peggio è andata a Fratelli d'Italia, che in queste ore esibisce con orgoglio la medaglia di monopolista del centrodestra. Dalle Europee di giugno, il partito della premier ha visto svanire la bellezza di 201.148 voti. Fuga dalle urne, dunque. Perché? Mai come questa volta la colpa non può essere affibbiata ai candidati presidente, due persone preparate e, soprattutto, serie. E allora? Qualcuno vaneggia di crisi della democrazia rappresentativa, ma è piuttosto la declinazione che ne fanno i partiti che disamora la gente. Mancano idee, visione e coraggio, non ci sono risposte alle domande degli elettori, non c'è uno scenario né un progetto. E dove c'è, annega nello sciocchezzaio social a cui i politici di ogni schieramento si...
Politici nella bolla
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